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L’arte lunga

Posted in libri with tags , , , , on July 13, 2020 by Domenico Delfino

“…2. La pluripatologia odierna

Ma, oltreché dalle malattie epidemiche e contagiose, la popolazione mondiale è non minacciata, ma pesantemente colpita da malattie che infettive e contagiose non sono, pur essendo epidemiche o endemiche.  Già s’è detto delle malattie cardiovascolari con le loro complicanze e delle malattie tumorali con le loro varietà, le une e le altre definibili malattie sociali ad alta penetranza demografica e pertanto sostitutive delle antiche epidemie.  Si aggiunga che, negli stessi paesi nordoccidentali del globo caratterizzati dalle fortune socioeconomiche dell’abbondanza e dell’agio (rispecchiate peraltro a rovescio da larghe fasce di povertà e di disagio), esistono moderne epidemie dovute a malattie presenti anche in passato in forma sporadica, ma oggi evolute in forma endemica in seno ad una società economicamente sviluppata e tecnologicamente avanzata.  Avanzamento e sviluppo hanno determinato, per dialettica di evoluzione storica, anche ricadute non propriamente favorevoli al progresso sanitario.

Infatti, se un secolo e mezzo fa l’industrializzazione economica e l’alfabetizzazione scolastica, manifestazioni entrambe di grandi avanzamenti e sviluppi sociali e civili, hanno determinato una impennata della tubercolosi, favorita dall’affollamento e dal contagio nelle fabbriche e nelle scuole, oggi le vecchie malattie “da carenza” e da fatica fisica o “da lavoro” sono state sostituite dalle nuove malattie “da opulenza” e “da fatica mentale”.

Una tipica “malattia da opulenza” è attualmente l’obesità.  Essa, ovviamente, non è nuova, ma antica, anche se raramente menzionata nei testi della medicina greco-romana.  Verosimilmente la condizione corporea legata alla massa e al peso suscitava anticamente un interesse maggiore per la sua varietà in difetto (dimagrimento, magrezza) che per la sua varietà in eccesso (ingrassamento, adiposità); il che d’altronde era ovvio in un contesto sociosanitario nel quale, fatta eccezione per qualche obeso eccellente nelle file delle classi più agiate, si facevano i conti assai più con le penurie alimentari che con i consumi di lusso.

Oggi che le classi agiate sono espanse, l’obesità è malattia non più sporadica, ma endemica.  L’Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce addirittura una “epidemia globale”.  Negli Stati Uniti i dati di studio indicano che la prevalenza dell’obesità in tutte le età della vita è aumentata progressivamente a partire dagli anni Sessanta del Novecento e sta diventando evidente anche nei paeso in via di sviluppo.

Tutto ciò sembra fatto apposta per ingenerare una precoce “psicosi obesità”, dove alla bulimia  della voracità si contrappone una vera e propria ossessione per il proprio peso, che sfocia nella anoressia.  Le patologie della dipendenza dal cibo sono in aumento, sia per la sempre maggiore fragilità degli adolescenti, sia per la crescente pressione mediatica a senso e a controsenso.

“Psicosi” è termine ottocentesco che, insieme al coevo termine “nevrosi” implicante disturbi neuropsichici di minor gravità, designa una patologia molto estesa, dalle affezioni psicosomatiche e “da stress” fino alle malattie mentali conclamate.  In tale contesto morboso diffuso campeggia la depressione , equivalente odierno dell’antica “melancolia” correlata da Galeno all’acrimonia “da umor nero” (atrabile) e definita nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “malattia del XXI secolo” che “occupa il quarto posto tra le cause di morbilità” e che “entro due decenni si insedierà al secondo”.

Non è qui possibile illustrare nei dettagli l’intero quadro pluripatologico odierno con cui è chiamata a confrontarsi e a cimentarsi la medicina contemporanea.  Riassume la complessità del quadro la categoria nosografica e storiografica di patocenosi, elaborata da Mirko Drazen Grmek (1924-2000), con la quale si intende l’insieme delle malattie presenti in un determinato momento in una data popolazione.  Alla sua base sta il concetto che esiste un equilibrio tra le diverse patologie, in modo che la discesa di una comporta l’ascesa di un’altra, con il corollario della messa in guardia contro un eccessivo entusiasmo per i successi della medicina perché, vinta una malattia, è destino che un’altra subentri a prenderne il posto.

La pluripatologia della popolazione nordoccidentale del globo, europea e nordamericana, comporta che accento a poche malattie relativamente molto frequenti, con al primo posto l’aterosclerosi con le sue molte complicanze (dall’infarto cardiaco all’ictus cerebrale) e i tumori con le loro molte varietà (dal cancro ai linfomi), sono numerosissime le malattie rare come, per esempio, le affezioni genetiche, individuate nel corso dell’ultimo sessantennio a partire dall’anemia a cellule falciformi (la drepanocitosi identificata da Pauling) per proseguire con la sindrome di Down e le altre affini malattie ereditarie.

Ma il quadro d’insieme è reso ancor più variegato e complesso sia dal ritorno che dalla trasformazione di vecchie malattie.  Un ritorno emblematico è quello della tubercolosi, che d’altronde non si è mai estinta nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, ma in realtà incatenati in secolari arretratezze.  Il fatto increscioso è che

La tubercolosi sta riemergendo con un trend di ripresa che solo in alcuni paesi accenna a fermarsi: la malattia è tornata ad essere un problema serio per la salute pubblica.  E non solo a causa della infezione da HIV [il virus dell’AIDS che azzera i poteri di difesa immunitaria dell’organismo], dei flussi migratori da paesi ad alta endemia tubercolare e degli scambi commerciali, turistici e culturali con questi paesi, ma anche per la persistenza di sacche di miseria e di emarginazione, per l’emergenza di ceppi tubercolari resistenti a più farmaci e perché, a partire dagli anni Settanta del Novecento, le nazioni avanzate, nell’erronea convinzione di una eradicazione della malattia, hanno abbassato la guardia.

Una trasformazione morbosa altrettanto emblematica è quella dovuta allo sguardo nuovo e diverso rivolto dai medici a una vecchia malattia come l’ulcera gastrica.  La malattia, in passato ritenuta di origine “peptica” (da eccesso di acidità) o “trofica” (da difetto di vascolarizzazione), è – oggi sappiamo – dovuta all’Helicobacter pylori (identificato da Marshall e Warren), un bacillo spiraliforme a trasmissione oro-intestinale, responsabile dell’infiammazione della mucoda dello stomaco.

Un modello computerizzato elaborato recentemente ha dimostrato che nel primo Novecento tale bacillo era presente in oltre il 90 per cento degli individui di cui colonizzava la mucosa gastrica.  Costoro erano i cosiddetti “portatori sani” dei quali solo alcuni si ammalavano a causa del sopraggiungere di fattori di rischio – abusi ed errori alimentari, ansie e angosce, preoccupazioni e stress – in grado di trasformare l’affezione silente in malattia sintomatica, cioè lo stato di benessere in malattia conclamata.  Successivamente, con il migliorare delle condizioni igieniche della popolazione, la presenza del bacillo si è via via rarefatta e il numero dei portatori, nonché dei malati, si è progressivamente, drasticamente ridotto.

Tra i due emblematici esempi di evoluzione morbosa, la differenza è che la patologia nell’un caso – quello della tubercolosi – è prevista in aumento, mentre nell’altro – quello dell’ulcera gastrica – è già in avanzata diminuzione, a conferma del ciclico avvicendarsi e rinnovarsi delle malattie che colpiscono l’uomo.

L’uomo, nell’ottica dell’anzidetta “patocenosi”, non può restarne indenne, neppure eliminando tutti i fattori patogeni che possono impedire il completamento del suo naturale ciclo vitale e neppure ottimizzando tutti i fattori salutogeni , da quelli genetici a quelli ambientali, che possono invece favorire tale completamento.  L’organismo umano, passando attraverso le età della vita, nel proprio particolare interesse d’individuo  si autoconserva in salute fino a un certo punto, oltre il quale produce malattie (involutive, metabolico-degenerative) nel generale interesse della specie, come altre caduca, alla quale appartiene.

(Tratto da Giorgio Cosmacini “L’arte lunga – storia della medicina dall’antichità ad oggi”, GLF Editori Laterza, 1997)